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Sopra c'è il cielo / Sotto c'è il mare / A volte c'è la terra / Ma c'è più mare. / C'è più mare che terra...
Inizia così Bianca un testo poetico di Gianni Guardigli quale omaggio a Moby Dick di Herman Melville, nel duecentesimo anno della sua nascita, messo in scena con una cura certosina da Alessandro Murro avendo come unica interprete una straordinaria Daniela Giovanetti e accanto a lei una eccellente Norina Angelini all'organo, che esegue dal vivo musiche dal sapore gregoriano di Enea Chisci e che canta pure alcuni brani tratti dall'album Marinai, profeti e balene di Vinicio Capossela, quasi dei madrigali pregni di vocazione spirituale.
Come ricorderanno i cultori della materia, il romanzo di Melville, tradotto da Cesare Pavese, uno dei più importanti della letteratura marinara in cui trova un posto di riguardo Conrad, Hemingway, Borges, Salgari... è il simbolo di tutto ciò che è ignoto e inafferrabile per l'uomo e ha come protagonista il giovane Ismaele che nello stesso tempo è narratore e testimone di una spedizione di caccia sulla baleniera "Perquod" guidata dal capitano Achab che ha giurato di vendicarsi di quel mostro bianco perché in un viaggio precedente gli ha strappato di netto una gamba. Daniela Giovanetti adesso vestendo i panni di Ismaele ma anche quelli di Achab e di Bianca (sì, la stessa balena che raffigura il mondo con i suoi mari e le sue terre) ci fa sentire d'esserci imbarcati con lei sulla "Perquod" e d'intraprendere una navigazione procellosa tra sbuffi di acqua salata, fantasmi di sirene, polpi giganti, foche barbute, capidogli e squali bianchi, in un viaggio senza ritorno assieme agli ufficiali Starbuch, Stubb, Flask, a Deggu, nero come il carbone, a tanti ramponieri sconosciuti dei quali si salverà solo Ismaele utilizzando la bara dell'amico indiano Queequeg quale imbarcazione di fortuna.
Se Vittorio Gassman più di venti anni fa al Teatro Biondo di Palermo, su un impianto scenico di Renzo Piano, ne aveva fatto uno spettacolo gagliardo, ricco di metafore intorno all'uomo che non può arrestarsi di fronte alle avversità della vita, tant'è che l'aveva titolato Ulisse e la balena bianca e Antonio Latella una dozzina d'anni addietro al Teatro Argentina di Roma, con Giorgio Albertazzi nei panni di Achab, ne aveva fatto uno spettacolo in bianco e nero, denso di riferimenti all'eterna nemica, qui Guardigli privilegia il lirismo, il verso, narrato in bello stile da questo scricciolo di donna che è Daniela Giovanetti in grado di sfoderare lunghe unghie e una voce profonda, ingigantendosi sulla scena di Laura Giannisi, (composta da assi lignei per terra e da una vela bianca con cinque tagli in stile Lucio Fontana) diventando una forza della natura, entrando e uscendo da quegli squarci bianchi provvisti di pali, paletti, sartie gomene che ondeggiano e danzano al suono di ululati d'una tempesta, amplificata dai suoni dell'organo della Angelini e affrontando a viso aperto il suo nemico di sempre.
Per chi non avesse letto il romanzo o visto questo spettacolo diciamo che l'inseguimento a Moby Dick si protrae sui mari per tre quarti del globo. Il clima dell'attesa offre lo spunto per lunghe riflessioni filosofiche e il bianco di quel cetaceo, come quello attorno alla scena lignea della Giannisi (suoi pure i costumi marinari) diventa metafora di tante realtà che trascendono la comprensione umana. Queequeg, l'unico vero amico di Ismaele, morirà prima che si concluda la storia e la vera caccia occupa solo gli ultimi capitoli del romanzo, quando avvistata e arpionata la Balena Bianca, costei trascinerà in una folle corsa non solo la barca inseguitrice, ma annienterà pure la nave con tutto l'equipaggio trascinando negli abissi lo stesso Achab, come qualcuno ricorderà nel noto film con Gregory Peck, quasi crocifisso sul suo dorso dalle corde degli arpioni